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SE IL LOCATORE NON RICHIEDE I CANONI PER LUNGO TEMPO?

se il locatore non richiede i canoni

Cosa accade se il locatore non richiede i canoni di locazione, lasciando trascorrere lunghi periodi di inerzia? Secondo il recente orientamento della Corte di Cassazione, si ingenera nel conduttore un affidamento nella rinuncia al credito. E dunque, pretendere in forte ritardo l’intero versamento dei canoni scaduti, può rappresentare un illecito.

 

se il locatore non richiede i canoni

(Foto Anna Auza su Unsplash free)

il caso

Nell’ipotesi oggetto della sentenza oggi esaminata, una società ha agito nel 2014 per recuperare i canoni locatizi non corrisposti dal 2004 al 2013. Il conduttore si è opposto, sostenendo che il godimento dell’immobile sarebbe stato a titolo gratuito, nonostante l’esistenza di un contratto di locazione registrato. Infatti, sia il padre che il figlio (conduttore) erano soci della società “di famiglia” creditrice. La prima richiesta di pagamento dei canoni, peraltro, è intervenuta solo nel 2011, dopo il divorzio tra il conduttore e la moglie.

Già la Corte di Appello, pur ritenendo la sussistenza del contratto di locazione, aveva considerato il comportamento della società contrario al principio della buona fede nell’esecuzione contrattuale. Il conduttore era stato dunque condannato al pagamento dei soli canoni maturati dopo la prima richiesta di pagamento (2011) e non dei precedenti.

la pronuncia della cassazione n. 16473/2021

Con la sentenza n. 16473/2021, la Corte di Cassazione ha ribadito il principio secondo cui il ritardo del creditore nell’esercitare il proprio diritto non implica automaticamente un abuso dello stesso. La mera tolleranza, infatti, non giustifica l’inadempimento del debitore.

Diverso, però, è il caso in cui l’inerzia sia talmente protratta da far presumere una tacita rinuncia al credito stesso, desumibile da un comportamento contrario all’esecuzione del proprio diritto.

Se il locatore non richiede i canoni per lungo tempo – nel caso di specie addirittura sette anni , in presenza di locazione ad uso abitativo – può darsi luogo ad una violazione del principio di buona fede nell’esecuzione del contratto. Il contratto, cioè, non è risolto e dunque rimane “vivo”, ma il comportamento del creditore implica un abuso nell’esercizio dei diritti che ne discendono. Il tutto, nell’ipotesi in esame, accompagnato dal fatto che il rapporto era caratterizzato da una forte connotazione personale e familiare tra le parti.

il principio di diritto

Il ricorso del creditore è stato dunque rigettato.

Infatti, il principio di buona fede nell’esecuzione del contratto di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c. legittima in punto di diritto l’insorgenza in ciascuna parte dell’affidamento che, anche nell’esecuzione di un contratto a prestazioni corrispettive ed esecuzione continuata, ciascuna parte si comporti nella esecuzione in buona fede, e dunque rispettando il correlato generale obbligo di solidarietà che impone a ciascuna delle parti di agire in modo da preservare gli interessi dell’altra, anche a prescindere tanto da specifici obblighi contrattuali, quanto dal dovere generale del “neminem laedere”.

“Ne consegue che in un contratto di locazione di immobile ad uso abitativo l’assoluta inerzia del locatore nell’escutere il conduttore per ottenerne il pagamento del corrispettivo sino ad allora maturato, protrattasi per un periodo di tempo assai considerevole in rapporto alla durata del contratto, e suffragata da elementi circostanziali oggettivamente idonei a ingenerare nel conduttore un affidamento nella remissione del diritto di credito da parte del locatore per facta concludentia, la improvvisa richiesta di integrale pagamento costituisce esercizio abusivo del diritto”.

Avv. Emanuele Parlati