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Ai sensi dell’art. 1655 c.c., l’appalto è il contratto mediante il quale una parte assume, con l’organizzazione di mezzi necessari e con la gestione a proprio rischio, l’obbligo di compimento di un’opera o di un servizio, dietro corrispettivo in danaro.
In linea di principio, quindi, l’appalto è un contratto consensuale, di tipo oneroso e non necessità della forma scritta poiché può essere validamente concluso con libertà di forme.
Il nostro ordinamento, infatti, non impone necessariamente la forma scritta.
Secondo la costante giurisprudenza della Suprema Corte, la stipulazione del contratto di appalto non richiede quale requisito la forma scritta né ad substantiam, né ad probationem, potendo, dunque, essere concluso anche per fatti concludenti (vedasi Corte di Cassazione, Sez. II Civile, sentenza 6.06.2003, n. 9077; Corte di Cassazione, Sez. I Civile, sentenza 26.10.2009, n. 22616).
In linea teorica, pertanto, anche l’esecuzione di lavori edili privati, di qualsiasi tipo, potrebbe essere affidata senza la sottoscrizione di un contratto scritto oppure, come spesso accade nella pratica, utilizzando ed accettando semplicemente il preventivo dei lavori.
Un contratto di tal tipo presenterà le stesse identiche caratteristiche di un appalto scritto come, ad esempio, la garanzia decennale per i difetti di costruzione da parte dell’appaltatore ex art. 1669 c.c., l’obbligo per il Committente di contestare eventuali vizi delle opere entro sessanta giorni e di intraprendere l’azione legale entro due anni, il diritto ad ottenere l’eliminazione delle difformità a spese dell’appaltatore o, in alternativa, la riduzione del prezzo, e quant’altro previsto dalle norme del codice civile.
In caso, quindi, di appalto verbale, qualora dovessero sopraggiungere controversie, spetterebbe alla parte che rivendicasse il proprio diritto dimostrarne al Giudice l’esistenza; dimostrazione che, ovviamente, non potrebbe essere fornita con un documento scritto (a meno che non vi siano scambi di corrispondenza da cui possano essere tratti elementi di prova a favore dell’uno o dell’altro soggetto).
Premesso quanto sopra, si ritiene opportuno richiamare la decisione presa dalla Sez. II Civile della Corte di Cassazione, con sentenza n. 14006 del 6.06.2017 proprio in ordine ad una questione relativa alla necessità di accertare se un semplice preventivo di spesa – recante anche la firma del destinatario, ma senza alcuna indicazione rispettivamente della data inizio lavori, modalità di esecuzione lavori, mancata indicazione dei termini di pagamento – potesse configurarsi come contratto di appalto, dando con ciò diritto alla ditta appaltatrice al risarcimento danni per recesso unilaterale dal contratto ex art. 1671 c.c. da parte del presunto Committente.
Si evidenzia, a tal proposito, che al di là del nome letterale dato ad un documento, ai fini del suo inquadramento in una delle figure contrattuali tipiche, occorre accertare, innanzitutto, la volontà negoziale delle parti, così come stabilito dall’art. 1362 c.c..
Nel caso sottoposto ai Giudici di legittimità, si è rilevata non solo la mancanza nel preventivo in questione di una descrizione analitica dei tempi, delle modalità dell’esecuzione dell’opera e di pagamento del corrispettivo, ma anche la carenza di espressioni idonee ad evidenziare in modo univoco, il sorgere del rapporto contrattuale, ritenendo irrilevante la mera sottoscrizione del preventivo medesimo da parte del Committente, non accompagnata da alcuna espressione da cui potesse desumersi l’assunzione di una vera e propria obbligazione.
Alla luce di tutto quanto sopra illustrato, si ritiene sia oltremodo “opportuno”, sebbene non obbligatorio, utilizzare la forma scritta per la conclusione di un contratto per l’affidamento di lavori edili, specie laddove questi abbiano una certa consistenza sia dal punto di vista economico, sia per la durata del cantiere e per altre necessità (ad esempio, ricorrere al subappalto per alcune lavorazioni, etc.).
Avv. Luca Palmerini