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L’OMESSA DIAGNOSI DI MALATTIA TERMINALE E’ DANNO RISARCIBILE ALLA PERSONA

omessa diagnosi di malattia terminale

La tardiva o omessa diagnosi di malattia terminale comporta la perdita delle possibili opzioni su come affrontare il tempo rimanente a disposizione del malato. Di conseguenza, ne deriva un danno alla persona, risarcibile ex se.

Così ha stabilito la Corte di Cassazione con Sentenza 12 ottobre 2021, n. 27682 (QUI la pronuncia integrale).

 

omessa diagnosi di malattia terminale

(foto National Cancer Institute su Unsplash free)

Nel caso in oggetto, i giudici di merito avevano accertato che il ritardo della diagnosi di una leucemia in stato terminale non aveva inciso sull’evoluzione della malattia. Nel momento in cui la malata aveva ricevuto la corretta diagnosi, infatti, ella presentava una linfocitosi assoluta sovrapponibile quella  riscontrata all’epoca del primo controllo. Pertanto,  una più tempestiva diagnosi da parte dei medici convenuti non avrebbe potuto influire il decorso della malattia.

il diritto all’autodeterminazione

Gli eredi, congiunti della sfortunata paziente, avevano richiesto sin da subito il risarcimento, tra gli altri danni, anche di quello personale subito dalla paziente. Costei, infatti, ove avesse ricevuto la diagnosi in tempi anticipati, avrebbe potuto esercitare il proprio diritto all’autodeterminazione.

La Suprema Corte, in tal senso, ha sottolineato che, in tema di responsabilità medica, integra l’esistenza di un danno risarcibile alla persona la tardiva o omessa diagnosi anche di malattia già in stadio terminale.
L’errore diagnostico, infatti, “nega al paziente, oltre che di essere messo nelle condizioni di scegliere “cosa fare”, nell’ambito di ciò che la scienza medica suggerisce per garantire la fruizione della salute residua fino all’esito infausto, anche di essere messo in condizione di programmare il suo essere persona e, quindi, in senso lato l’esplicazione delle sue attitudini psico-fisiche, in vista e fino a quell’esito.

La violazione del diritto di determinarsi liberamente nella scelta dei propri percorsi esistenziali, determinata dal colpevole ritardo diagnostico di una patologia ad esito certamente infausto, non coincide con la perdita di “chances” connesse allo svolgimento di specifiche scelte di vita non potute compiere, ma con la lesione di un bene di per sè autonomamente apprezzabile sul piano sostanziale, tale da non richiedere l’assolvimento di alcun ulteriore onere di allegazione argomentativa o probatoria, potendo giustificare una condanna al risarcimento del danno sulla base di una liquidazione equitativa (Cass. n. 7260/2018).”

Il danno, dunque, include la perdita di un “ventaglio” di opzioni con le quali scegliere come affrontare l’ultimo tratto del proprio percorso di vita. E ciò non solo mediante il ricorso a trattamenti lenitivi degli effetti di patologie non più reversibili; ma anche attraverso la mera accettazione della propria condizione.

Avv. Emanuele Parlati