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LOCAZIONI COMMERCIALI E CORONAVIRUS: POSSIBILI RIMEDI

 

 

Com’è noto, in questo periodo di pandemia da Coronavirus, molte attività commerciali sono state costrette ad abbassare la propria serranda con ovvie conseguenze negative sul reddito e, di conseguenza, sulle locazioni in essere.

Dette problematiche hanno costretto il Governo a prendere numerose iniziative: si veda, a titolo meramente esemplificativo, quanto stabilito dal D.L. Cura Italia rispetto al congelamento Rc auto e pignoramenti prima casa.

Per questo motivo, si è posto il problema, per più categorie di soggetti interessati, di stabilire le seguenti alternative:


a) se fosse o meno possibile chiedere una sospensione del canone di locazione;

b) se sussista o meno la possibilità di domandare la riduzione del canone di locazione dell’immobile non utilizzato  integralmente;

c) ricorrere alla risoluzione del contratto di locazione medesimo a fronte della sospensione della propria attività d’impresa.

A parere dello scrivente, per la problematica relativa alle locazioni commerciali, non è ammissibile il ricorso all’istituto della impossibilità parziale sopravvenuta di cui all’articolo 1464 c.c., secondo cui “quando la prestazione di una parte e’ divenuta solo parzialmente impossibile, l’altra parte ha diritto a una corrispondente riduzione della prestazione da essa dovuta, e può anche recedere dal contratto qualora non abbia un interesse apprezzabile all’adempimento parziale”.

Non risulta, altresì, applicabile nel caso delle locazioni commerciali l’istituto della eccessiva onerosità sopravvenuta di cui all’articolo 1467 c.c. a norma del quale “nei contratti a esecuzione continuata o periodica ovvero a esecuzione differita, se la prestazione di una delle parti è divenuta eccessivamente onerosa per il verificarsi di avvenimenti straordinari e imprevedibili, la parte che deve tale prestazione può domandare la risoluzione del contratto, con gli effetti stabiliti dall’art. 1458 c.c.

In entrambe le casistiche sopra illustrate, infatti, non sussisterebbe il requisito della  definitività della situazione sopravvenuta che avrebbe causato l’alterazione del cosiddetto “sinallagma” contrattuale.

Vi è chi ha sostenuto che, in tali casi, potrebbe invocarsi l’impossibilità temporanea della prestazione di cui all’art. 1256 co. II c.c..

Detta norma esonererebbe il debitore (e, pertanto, nel caso di specie, il conduttore) dalla responsabilità per il ritardo nell’adempimento della prestazione di pagamento del canone di locazione, fermo restando comunque l’obbligo – nel momento in cui cessi la situazione di temporanea impossibilità – di versare i canoni scaduti e non versati.

Si ritiene che anche detta fattispecie non possa essere condivisa, in quanto non è oggettivamente pensabile una situazione in cui sia del tutto impossibile l’obbligazione pecuniaria, potendosi tutt’al più verificare una situazione soggettiva di incapacità economica del debitore (conduttore), comunque estranea all’ambito applicativo dell’art. 1256 co. II c.c.

Segnalo, a tal proposito, quanto stabilito dall’Agenzia delle Entrate con la circolare n. 8/E. 

Uno degli argomenti a sostegno della tesi della imprescindibilità del pagamento del canone per i mesi di chiusura dell’esercizio commerciale è costituito dal tenore letterale dell’art. 65 del c.d. “Decreto Cura Italia”, nell’ambito del quale è previsto a favore del conduttore un credito d’imposta per l’anno 2020 pari al 60% del canone di locazione di immobili appartenenti alla categoria catastale C/1 relativo al mese di marzo 2020.

Detta disposizione trova espressa applicazione alla locazione di immobili di categoria catastale C/1, ed è volta a ristorare il conduttore del costo del canone di locazione versato per il mese di Marzo 2020, durante il quale l’attività non è stata esercitata.

Il richiamato art. 65 della Circolare n. 8/E del 3 aprile 2020 dell’Agenzia delle Entrate ha stabilito, infatti, che “l’agevolazione in esame ha la finalità di contenere gli effetti negativi derivanti dalle misure di contenimento dell’emergenza epidemiologica nei confronti dei soggetti esercitanti attività d’impresa nell’ambito della quale risulta condotto in locazione un immobile in categoria catastale C/1. Ancorché la disposizione si riferisca, genericamente, al 60 per cento dell’ammontare del canone di locazione, la stessa ha la finalità di ristorare il soggetto dal costo sostenuto costituito dal predetto canone, sicché in coerenza con tale finalità il predetto credito maturerà a seguito dell’avvenuto pagamento del canone medesimo”.

Per quanto sopra, la fruizione del beneficio fiscale, atteso che è oggettivamente volta a compensare (almeno parzialmente) il costo della locazione, è subordinata all’effettivo versamento del canone di locazione di Marzo 2020, anche se in ritardo.

Per quanto sopra argomentato, è evidente come la straordinarietà dell’emergenza dovuta dalla pandemia del Coronavirus in atto non possa essere risolta con gli ordinari strumenti giuridici previsti dal nostro ordinamento giuridico.

L’unica strada ad oggi percorribile è la rinegoziazione dei contratti di locazione commerciale, volta a riequilibrare gli interessi ed i bisogni delle parti contrattuali.

In assenza di misure concrete ad hoc da parte dello Stato in materia di locazioni, l’unica via d’uscita praticabile, all’attualità, appare quella di distribuire tra le “povere” parti contrattuali i costi di questa emergenza.

Si tratta di una soluzione di buon senso e, per certi aspetti obbligata, in assenza di provvedimenti in proposito da parte del legislatore.

Avv. Luca Palmerini

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