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Il danno da morte del feto: come classificarlo?

danno da morte del feto

Il danno da morte del feto, scaturito da negligenza sanitaria, è configurabile come danno da perdita di rapporto parentale?

La risposta è affermativa, stando all’ordinanza della Corte di Cassazione del 29 settembre 2021, n. 26301.

 

danno da morte del feto

(foto di Daiga Ellaby su Unsplash free)

Nel caso oggetto della pronuncia, già in sede di merito risultava accertata una responsabilità medico legale a carico dei sanitari. Una Consulenza Tecnica d’Ufficio aveva stimato che una diagnosi tempestiva della sofferenza fetale ed un diverso trattamento sanitario avrebbero probabilmente impedito la nascita di una bambina purtroppo già morta.

La condanna era tuttavia limitata al risarcimento del “danno non patrimoniale causato dalla perdita del frutto del concepimento“. La Corte di Appello non aveva però tenuto conto – né aveva consentito l’acquisizione delle relative prove – del danno consistente negli strascichi che quel lutto aveva lasciato nell’animo dei protagonisti (il panico, gli incubi e il mutamento delle abitudini di vita, conseguenti alla morte del feto in utero).

In altre parole, il Giudice aveva operato una liquidazione meramente astratta del danno non patrimoniale da essipatito senza considerare le specificità del caso concreto, che avrebbero giustificato la personalizzazione del risarcimento.

Oltretutto, la Corte aveva valutato la circostanza che la madre, ancora giovane, avrebbe comunque potuto avere in seguito altri figli.

la pronuncia della cassazione

Il danno da morte del feto patito dai ricorrenti, al contrario, doveva qualificarsi in toto come danno da perdita del rapporto parentale. Il Giudice di Appello, infatti, aveva omesso del tutto di considerare come anche “la tutela del concepito abbia fondamento costituzionale“.

Rilevano, in tal senso, la tutela della maternità, sancita dall’art. 31 Cost., comma 2, ma, più in generale, quanto stabilito dall’art. 2 Cost., norma “che riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, fra i quali non può non collocarsi, sia pure con le particolari caratteristiche sue proprie, la situazione giuridica del concepito”.

Non solo, dunque, sono legittimati i componenti del consorzio familiare a far valere una pretesa risarcìtoria che trova fondamento negli artt. 2043 e 2059 c.c..

Ma, precisa la Suprema Corte, “tale tipo di pregiudizio rileva nella sua duplice, e non sovrapponibile dimensione morfologica “della sofferenza interiore eventualmente patita, sul piano morale soggettivo, nel momento in cui la perdita del congiunto è percepita nel proprio vissuto interiore, e quella, ulteriore e diversa, che eventualmente si sia riflessa, in termini dinamico-relazionali, sui percorsi della vita quotidiana attiva del soggetto che l’ha subita”.

Avv. Emanuele Parlati