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IL CREDITORE VIOLA LA PRIVACY? E’ DANNO RISARCIBILE

creditore viola la privacy

Il creditore viola la privacy del debitore, comunicando a terzi (familiari, vicini) informazioni sull’inadempimento?

Sì, secondo la Corte di Cassazione: si tratta di un danno meritevole di risarcimento, sia patrimoniale che non patrimoniale.

 

creditore viola la privacy

(foto di Dayne Topkin su Unsplash free)

Si verifica infatti una lesione del diritto alla riservatezza, allorché le sollecitazioni di pagamento siano portate a conoscenza di persone diverse dal debitore.

Nell’esempio specifico, la condotta era stata portata avanti da un ente ministeriale. A seguito di un contenzioso vinto nei confronti di una insegnante, il Ministero aveva inviato due comunicazioni all’indirizzo PEC dell’Istituto scolastico, ove ella prestava servizio. In tali comunicazioni, il Ministero includeva dati personali, e segnatamente informazioni relative al contenzioso stesso.

L’insegnante lamentava, dunque, la violazione delle regole di cui al c.d. “codice della privacy“.

La diffida, a suo dire, avrebbe dovuto essere comunicata privatamente, non inerendo all’attività di insegnante prestata presso l’istituto stesso, mentre in tal modo vi avevano avuto accesso il dirigente scolastico ed il personale di segreteria.

Oltretutto, l’amministrazione non aveva dimostrato di aver posto in essere le dovute cautele e la diligenza necessaria ad evitare il danno. Si invocava, dunque, la presunzione di responsabilità ex art. 2050 c.c. in capo a chi effettua un trattamento ritenuto attività pericolosa dal legislatore.

la sentenza

Con l’ordinanza n. 18783 del 2 luglio 2021, la Suprema Corte ha ravvisato la sanzionabilità della condotta dell’Amministrazione.

In questo senso, richiamava “l’intervento dell’Autorità per la protezione dei dati personali che, con un provvedimento generale emesso in data 30 novembre 2005, ai sensi del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 154, comma 1, lett. c), ha prescritto le misure necessarie perchè l’attività di recupero crediti […] si svolga nel rispetto dei principi di liceità, correttezza e pertinenza fissati dall’art. 11, comma 1 cit.”; evitando così “comportamenti che possano ledere la riservatezza del debitore in merito alle sue vicende personali.”

Tra l’altro, l’Autorità ha puntualizzato che il trattamento dei dati personali del debitore, nell’ambito dell’attività di recupero crediti deve rispettare i seguenti principi:

  • liceità nel trattamento“, che può ritenersi violato, ad esempio, dal comportamento consistente nel comunicare ingiustificatamente a soggetti terzi rispetto al debitore (quali, ad esempio, familiari, coabitanti, colleghi di lavoro o vicini di casa), informazioni relative alla condizione di inadempimento nella quale versa l’interessato;
  • correttezza nel trattamento“, in ragione del quale devono ritenersi preclusi, sia in fase di raccolta delle informazioni sul debitore, sia nel tentativo di prendere contatto con il medesimo (anche attraverso terzi), comportamenti suscettibili di incidere sulla sua dignità, qui riguardata sul solo piano della disciplina di protezione dei dati personali. […]
  • pertinenza e finalità“, desunto sempre dal D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 11, in ragione del quale possono formare oggetto di trattamento i soli dati necessari all’esecuzione dell’incarico, con particolare riferimento ai dati anagrafici riferiti al debitore, codice fiscale (o partita Iva del medesimo), ammontare del credito vantato (unitamente alle condizioni del pagamento) e recapiti (anche telefonici), di norma forniti dall’interessato in sede di conclusione del contratto o comunque desumibili da elenchi o registri pubblici.

Il creditore viola la privacy del debitore nei cui confronti procede al recupero del credito, se contravviene ai suddetti principi.

L’Amministrazione si è dunque ingiustificatamente avvalsa della PEC istituzionale del datore di lavoro. Ciò ha consentito l’accesso e la conoscenza di tali dati da parte dal dirigente scolastico e dal personale di segreteria, nonostante il carattere privato degli stessi.

Inoltre, la liceità della richiesta dei dati stipendiali della debitrice rivolta al datore di lavoro, pur ravvisata dal Tribunale, non esonerava il creditore dal rispettare i canoni di pertinenza e di finalità. Questi, invero, avrebbe dovuto limitare allo stretto necessario i dati e le informazioni sulla posizione debitoria dell’interessato.

La Cassazione, dunque, ha confermato la condanna a carico del ministero a risarcire il danno non patrimoniale dell’insegnante, già quantificato equitativamente in € 10.000,00.

Avv. Emanuele Parlati