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L’abbandono della casa coniugale: novità giurisprudenziali

abbandono della casa coniugale

Cosa succede se uno dei coniugi decide volontariamente di addivenire all’abbandono della casa coniugale?

L’abbandono della casa coniugale viene disciplinato dall’art.146 c.c. , in base al quale “il diritto all’assistenza morale e materiale previsto dall’articolo 143 c.c. è sospeso nei confronti del coniuge che, allontanatosi senza giusta causa dalla residenza familiare, rifiuta di tornarvi.”

L’allontanamento sine causa di uno dei coniugi può causare anche una lesione – sanzionabile anche penalmente – degli altri importanti doveri di assistenza e di collaborazione derivanti dal matrimonio. Nella maggioranza dei casi, infatti, il coniuge allontanatosi si sottrae anche alle obbligazioni di natura economica verso il coniuge e verso i figli.

Cosa deve intendersi per “giusta causa”?

La giurisprudenza ha definito giusta causa una “situazione di fatto di per sé incompatibile con la protrazione di quella convivenza, tali da non rendere esigibile la pretesa di coabitare”.

A titolo esemplificativo costituiscono “giusta causa“: la violenza domestica, i maltrattamenti sia fisici che psicologici subiti o effettuati dal coniuge nei confronti dei figli, abusi verso i figli, la mancanza di intesa sessuale, l’ingerenza della suocera nella vita della coppia.

La Corte di Cassazione, sezione VI civile, con la recente ordinanza 14 gennaio 2020, n. 509, ha confermato l’addebito della separazione ad una moglie che aveva lasciato la casa familiare, addirittura pur se costei è rientrata dopo sole quarantotto ore. Si è infatti statuito che “lallontanamento unilaterale di un coniuge dalla casa familiare, in mancanza di giustificati motivi, determina l’addebito della separazione, anche se il coniuge vi fa rientro dopo due giorni e trova cambiata la serratura della porta. L’onere probatorio dellintollerabilità della convivenza spetta al coniuge che si è allontanato”.

Sta, dunque, al soggetto che si allontana volontariamente l’obbligo di fornire la prova della giusta causa dell’allontanamento stesso.

Ma cosa comporta, in sostanza, l’attribuzione dell’addebito?

L’addebito viene definito come una “sanzione” per aver determinato la cessazione del matrimonio. Le conseguenze delladdebito sono essenzialmente solo due:

In primo luogo, il coniuge cui viene attribuito l’addebito non può chiedere il mantenimento anche se ha uno stipendio più basso o è disoccupato (pur conservando, però, il diritto agli alimenti, se versa in condizioni economiche disperate e la sua situazione di salute o di età gli impedisce di lavorare)

Chi subisce l’addebito, inoltre, perde i diritti successori nei confronti dellaltro coniuge. Non può, cioè, assumere la qualità di erede del coniuge defunto prima del divorzio (di norma, infatti, dopo la separazione e prima del divorzio i due coniugi sono ancora luno erede dellaltro secondo le regole normali). Può però avere diritto ad un assegno vitalizio a carico delleredità in caso di godimento degli alimenti al momento dellapertura della successione.

Alla luce di tutto questo, dovranno essere solo questi aspetti a fare la differenza, in caso di abbandono ingiustificato della casa coniugale. In molti casi, infatti, la richiesta dell’addebito per abbandono, viene effettuata perdendo di vista le reali implicazioni pratiche e giuridiche dell’istituto. L’istanza, infatti, finisce sovente per celare mere questioni “di principio” tra i coniugi. Sebbene emotivamente comprensibile, tuttavia, il semplice desiderio di vedere suggellata la “colpa” dell’altro coniuge per il fallimento del rapporto matrimoniale rischia di trascinare le due parti in un confronto giudiziale duro e stressante, per concludersi, infine, con un risultato praticamente irrilevante sul piano concreto.

Avv. Emanuele Parlati

(Foto: Public Domain Pictures, Pixabay)